Le aspettative di base della condizione umana e le origini della disconnessione
Quello che viviamo come normale è una disconnessione fondamentale da uno stato che il nostro corpo-mente continua incessantemente a cercare
Una delle cose più difficili per me in questo momento è comunicare qualcosa che è abbastanza palese da sembrare scontata, e tanto assente da essere invisibile.
In questo articolo cerco di farlo attingendo a alcune ricerche poco conosciute delle neuroscienze su quello che avviene a livello fisiologico e psicologico quando siamo privati della connessione umana.
Gabor Maté nel libro “Il mito della normalità” dice che “soddisfare gli attuali criteri della normalità significa, per molti versi, conformarsi a richieste profondamente anormali rispetto alle esigenze della nostra natura”.1
Ci sono dentro anch’io, ci siamo dentro tuttə. Richiede uno sforzo di immaginazione vederlo. E la capacità di accedere alla nostra memoria ancestrale.

Iniziamo dal deserto
Per dirla in modo semplice, è come se decidessimo di vivere nel deserto. Per sempre.
E’ possibile, ma tutto diventa più difficile e faticoso. E anche meno bello e stimolante.
E’ quello che succede quando ci convinciamo di dover essere autosufficienti, che non è bene avere bisogno degli altri, e che nelle relazioni sono più importanti confini chiari che il senso di connessione.
Per il nostro cervello e sistema nervoso è come vivere nel deserto.
Il neuroscienziato Jim Coan non riusciva a capire perché quando le persone stringono la mano di una persona cara, diminuisce il loro stress e anche il dolore fisico.
O perché quando si guarda un percorso in salita, se si ha accanto una persona amica la mente lo considera meno faticoso.
I suoi esperimenti lo hanno portato a formulare la Social Baseline Theory: il cervello umano è progettato per la connessione umana. Percepisce la presenza degli altri come parte di sé.
Molti teorici hanno suggerito che il sé sia “espanso” dalle relazioni con gli altri.
Questo potrebbe essere letteralmente vero a livello neurale.
Quando le risorse sociali sono disponibili, siamo espansi, più grandi, più capaci di affrontare le richieste dell’ambiente.
Quando le risorse sociali sono assenti, inaffidabili o perdute, il nostro senso del sé si riduce, insieme sia all’efficacia oggettiva sia a quella soggettiva.2
Come spiega la psichiatra Amy Banks:
Quando siamo tagliati fuori dai rapporti con gli altri, questi circuiti neurali soffrono. Il risultato sono degli effetti neurologici a cascata che possono portare a irritabilità e rabbia, depressione, dipendenze, e malattie fisiche croniche.3
Ma se, come sostengono i neuroscienziati e come ci dice la nostra esperienza, “siamo progettati” per essere in relazione con gli altri, perché questo non avviene naturalmente e invece ci isoliamo sempre di più?
1° – stare con gli altri non significa sentirsi connessi
Avrete sicuramente fatto esperienza della sensazione di sentirvi soli pur stando in mezzo alle persone. Quello che conta non è soltanto la presenza fisica degli altri, ma la qualità della loro presenza e connessione con noi.
Un partner giudicante, dei familiari che non sanno vederci, degli amici che non sanno ascoltarci, possono farci sentire solə quanto o più che se lo fossimo fisicamente. La disconnessione emotiva e l’incapacità relazionale che pervade la nostra cultura fa sì che molte delle nostre relazioni siano superficiali o di facciata.
2° – Le ferite relazionali del passato ci disconnettono
Moltə di noi abbiamo fatto esperienza di situazioni in cui siamo statə giudicatə, presə in giro, bullizzatə, non accettatə, e ci siamo creatə una corazza per difenderci.
Abbiamo fatto un contratto con noi stessə che non avremo più mostrato le parti di noi in cui gli altri possono ferirci.
E’ stato chiamato il “Paradosso Relazionale Centrale”:
Al centro della relazione umana si cela una verità contrastante: desideriamo ardentemente essere vicini agli altri ma temiamo farli avvicinare a causa di violenze e ferite subite in passato. A causa di questa paura, nascondiamo parti di noi stessi che riteniamo inaccettabili per la relazione. Più nascondiamo parti di noi stessi, più ci sentiamo disconnessi sia dalla nostra esperienza personale che dalle relazioni.4
3° – la nostra cultura promuove la disconnessione
I valori dominanti nella nostra cultura - ricchezza, consumo, apparenza, celebrità, progresso tecnologico - promuovono comportamenti che danneggiano le relazioni umane.
Non sono solo gli smartphone, è tutto un sistema che si regge sulla separazione e la disconnessione per funzionare e produrre.
Lo psichiatra Iain McGilchrist, basandosi sugli studi sulle diverse funzioni dei due emisferi del cervello, ha tracciato la crescente prevalenza dell’emisfero sinistro nella cultura occidentale.
Nel caso dell’emisfero sinistro, il mondo è semplificato al servizio della manipolazione: è fatto di “cose” isolate e statiche. La preoccupazione principale dell’emisfero sinistro è l’utilità.5
Ad andare in sordina è la diversa prospettiva sul mondo dell’emisfero destro:
Nel caso dell’emisfero destro, al contrario, c’è un mondo interconnesso, dove tutto è nelle relazioni, un mondo di unicità, uno in cui la qualità è più importante della quantità, un mondo che è essenzialmente animato.6
Come afferma McGilchrist, “il tipo di attenzione che prestiamo al mondo cambia la natura del mondo a cui prestiamo attenzione”.
4° – le relazioni non si vendono
La relazionalità ci pone in un rapporto con il mondo così radicalmente diverso, che se ci pensiamo è incompatibile con il modo di funzionamento principale del mondo occidentale.
Una relazione non si può vendere. Anche nell’ipotesi che qualcunə decidesse di esserci amicə a pagamento, sapere che lo fa per soldi gli toglierebbe qualsiasi significato.
Le relazioni non possono essere scambiate, misurate, accumulate.
Non possono neanche essere pensate, perché il loro senso lo avvertiamo solo mentre le viviamo nel momento presente.
Anche la psicologia è quasi esclusivamente centrata sull’individuo. E’ molto più complesso intervenire sulle relazioni, il contesto, il sistema in cui viviamo.
Ma come scrive la psicologa Bonnie Badenoch:
Ciò che stiamo imparando a comprendere attraverso le neuroscienze relazionali sui modi sorprendenti in cui siamo interconnessi suggerisce che il modo in cui ci muoviamo nella vita quotidiana toccherà tutti, spesso al di sotto del livello di consapevolezza cosciente. Mi sono convinta che incarnare gradualmente questa saggezza – un processo che dura tutta la vita – significhi partecipare silenziosamente alla salute del mondo.7
Come possiamo uscirne e perché è urgente
Come per la crisi climatica, sono anni che conosciamo i dati allarmanti sul deterioramento della salute mentale. Ma come per il clima, o forse ancora di più, finiamo per considerarlo un prezzo inevitabile da pagare per la nostra “civiltà”.
Eppure, anche qui, le proposte di risposta organizzata esistono. Scrive Allan Schore, psicologo e ricercatore statunitense che ha ricevuto nel 2022 un premio alla carriera da parte dell’Università di Roma “La Sapienza”:
Questa disconnessione emotiva e la difficoltà ad avere relazioni significative intorno a noi dovrebbe essere la principale priorità sociale.
Alcuni aspetti fondamentali della condizione umana stanno iniziando a mostrare sintomi clinici di grave stress, dando origine ad un incremento dei disturbi emotivi nell’infanzia e nell’adolescenza.8
Nei prossimi post racconto quello che le neuroscienze relazionali e la neurobiologia interpersonale hanno scoperto essere efficace per trasformare le relazioni umane. Se ti interessa, resta informatə:
Insieme alle pratiche del relazionarsi autentico, provo a immaginare come possiamo a livello sociale rigenerare la capacità di connessione umana al servizio della guarigione psicologica, il benessere collettivo e l’evoluzione culturale.
Se vuoi apprendere alcune di questa pratiche, il percorso In RISONANZA a Roma a questo obiettivo
Gabor e Daniel Maté, “Il mito della normalità: trauma, malattia e guarigione in una cultura tossica”, Astrolabio, 2023
Coan, J.A. & Sbarra, D.A. (2015). Social Baseline Theory: The Social Regulation of Risk and Effort. Current Opinion in Psychology, 1: 87–91. https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S2352250X14000396
Banks, Amy, and Leigh Ann Hirschman, “Wired to connect: The surprising link between brain science and strong, healthy relationships”, Penguin, 2016
Iain McGilchrist, “Il padrone e il suo emissario: I due emisferi del cervello e la costruzione dell’Occidente”, Utet, 2022
Idem
Bonnie Badenoch, “The Heart of Trauma: Healing the Embodied Brain in the Context of Relationships”, WW Norton & Company, 2017
Allan N. Schore, “Verso un nuovo paradigma della psicoterapia”, in “La scienza e l’arte della psicoterapia”, 2016


