Gli Incel, la serie Adolescence e i bisogni relazionali negati dal patriarcato
Una riflessione aiutata dai dati
Questo è una revisione aggiornata di un articolo già pubblicato in precedenza, corredata da dati e studi scientifici sul fenomeno Incel di cui nel frattempo sono venuto a conoscenza.
Adolescence, la seconda serie Netflix più vista della storia
Il fenomeno incel (da “celibato involontario”) è stato portato all’attenzione pubblica dal successo di Adolescence, la seconda serie in lingua inglese più vista di sempre su Netflix.1 Le ragioni del successo, oltre a quelle artistiche e tecniche, derivano dalla capacità di toccare alcuni dei temi più cari alla sensibilità del momento, come la violenza di genere, la mascolinità tossica, l’influenza dei social media sugli adolescenti, le relazioni familiari, il tutto senza semplificazioni o retorica.
Il fenomeno Incel è stato descritto come "una delle sottoculture più pericolose di internet" e si riferisce specificamente agli uomini che avendo a che fare con la mancanza non voluta di rapporti sessuali aderiscono a comunità online che sposano un'ideologia misogina secondo la quale le donne rifiuterebbero sesso e affetto alla maggior parte degli uomini, selezionandone soltanto il 20% con determinate caratteristiche di attrattività fisica, successo sociale e stabilità finanziaria.
La tesi di questo articolo è che Adolescence e il fenomeno Incel ci parlano del patriarcato attraverso la lente della disconnessione emotiva, del rigetto sociale, e del disperato tentativo di dare senso alle proprie ferite attraverso spiegazioni manichee che creano ancora maggiore solitudine e violenza. Per interrompere questo ciclo non è sufficiente condannare il patriarcato come insieme di comportamenti intenzionali. Occorre saper toccare i meccanismi relazionali, le aspettative implicite, i non detti che creano sofferenza, disconnessione emotiva e isolamento sociale.
Quello che ci si aspetta da un uomo
“A scuola mi hanno bullizzato, anche da piccolo, mi prendevano in giro sia i ragazzi sia le ragazze. Alle medie ho attraversato il periodo peggiore. Ogni volta che andavo a una festa o a un compleanno mi sentivo male, vomitavo per l’ansia”. La sua esperienza peggiore sono state le app d’incontri, dove nessuno ricambiava le sue attenzioni. “Anche se curavo il mio profilo e mettevo like a tutti”.
Mario è il nome fittizio dello studente di 23 anni che si definisce “incel”e che Annalisa Camilli ha intervistato per Internazionale in uno degli articoli migliori pubblicati sull’argomento in Italia.
La sua esperienza non è isolata all’interno dell’universo Incel. Due ricercatori canadesi autori di una revisione sistematica degli studi sul celibato involontario, Stefan Stijelja e Brian L. Mishara, hanno selezionato da 6,774 articoli scientifici pubblicati sul fenomeno i 302 che contenevano dati empirici su variabili psicosociali. Il ritratto che ne viene fuori è rivelatorio.
Le analisi delle discussioni nei forum Incel e le risposte ai sondaggi evidenziano problemi psicologici legati all'immagine corporea negativa, alla timidezza, all'ansia, ai deficit nelle abilità sociali, all'autismo, al bullismo, all'inesperienza sessuale e sentimentale, alla solitudine, alla depressione e al suicidio.
Alcuni di questi studi mettono in luce la pressione sociale subita dagli adolescenti uomini rispetto alla sessualità.
Gli uomini, in particolare, sono soggetti a una maggiore pressione sociale a essere più attivi sessualmente, sia durante l'adolescenza che in età adulta (Koenig, 2018; Lucas et al., 2019). Di conseguenza, gli uomini adulti provano un maggiore senso di imbarazzo associato alla loro verginità (Carpenter, 2005, 2010) e tendono a considerarla in modo più negativo rispetto alle donne (Sprecher & Treger, 2015).
E ancora:
A conclusioni simili sono giunti Daly e Reed (2022). Hanno intervistato 10 Incel autoidentificati e hanno scoperto che sperimentavano "sfide di mascolinità", concettualizzate come le difficoltà dei partecipanti a dimostrare la propria virilità attraverso relazioni interpersonali, sessuali o intime. Alcuni autori suggeriscono che le persone che violano gli standard stereotipati di mascolinità siano incoraggiate a considerarsi inferiori e svalutate (Laker, 2012).
Matteo Lancini è un docente di psicologia all’università degli studi di Milano-Bicocca specializzato sugli adolescenti. Sentito da Annalisa Camilli nell’articolo su Internazionale conferma questa condizione anche per gli adolescenti maschi in Italia:
La loro ansia sociale è sempre più diffusa, è il corrispettivo dei disturbi alimentari per la ragazze. Ci parla di un contesto con forti pressioni prestazionali per i ragazzi, che scelgono di suicidarsi socialmente, proprio nel momento in cui invece dovrebbero sbocciare socialmente.
Questi dati portano ad apprezzare la complessità per tenere insieme l’apparente contraddittorietà della mascolinità tossica, dove i perpetratori sono spesso vittime dello stesso fenomeno. Steven Wineman, nel suo libro sul trauma e il cambiamento sociale nonviolento, pone l’accento su questo quando scrive:
Si tratta di un processo complesso e, a mio avviso, di fondamentale importanza, in cui gli stessi mezzi con cui si insegna ai ragazzi ad assumere ruoli dominanti li espongono massicciamente a esperienze di umiliazione, vergogna, impotenza e traumi profondi.
Sentirsi rifiutati
Un adolescente maschio che sta formando la sua identità, nato nella cultura del patriarcato, senza modelli maschili diversi, che si sente rifiutato in uno dei bisogni più fondamentali, quello dell’affettività, del sentirsi meritevole di amore, ha bisogno di una cultura che sappia riconoscere i suoi bisogni, che sappia fornire modelli relazionali alternativi. In assenza di questo, la risposta di una comunità come quella dei forum Incel, che riconosce la sua sofferenza e gli offre un’opportunità di riscatto - per quanto assurda, per quanto violenta, per quanto ingiusta sia - avrà sempre un appeal irresistibile.
“Forse se si discutesse di più di questo tipo di problemi, non ci si rivolgerebbe a questi gruppi e non si verificherebbero i casi più gravi”, dice Mario a Annalisa Camilli nell’articolo che abbiamo già citato.
Uno studio recente incluso nella revisione condotta dai due ricercatori canadesi ha riportato i risultati di un sondaggio online pubblicato in un forum Incel:
Il 74,6% ha affermato che partecipare al forum li ha fatti sentire "compresi". Altri utenti hanno affermato che ha dato loro "un senso di appartenenza" (69,9%) e li ha fatti "sentire meno soli" (58,1%).
Come dice la ricercatrice della “Sapienza” Gaia Antinelli a Internazionale, “in un certo senso un ragazzo che si sente frustrato, si sente accolto da questi gruppi. Un’ideologia così forte ha un potere su persone che hanno un tipo di sofferenza psicologica e grazie alla condivisione della sofferenza riescono ad alleviarla”.
Le teorie del complotto, come quella promossa nei forum Incel, sono il modo con cui chi è feritə si crea un’immagine distorta della realtà per uscire dalla condizione di impotenza. Come scrivono i due ricercatori canadesi:
La teoria delle 3N (Needs, Narrative and Network) suggerisce che le persone cercheranno una narrazione – un sistema di credenze condiviso – per spiegare i propri bisogni insoddisfatti e identificare le azioni necessarie per trovargli un significato. Per alcuni adulti che lottano con la mancanza di attività sessuale, la teoria della “pillola nera” fornisce una spiegazione del loro celibato e offre una guida su come dargli senso.
Le teorie del complotto sacrificano la complessità, più ancora della verità. C’è sempre, infatti, un nucleo di verità su cui si basano, e questa verità è l’esperienza soggettiva, emotiva, di chi le fa proprie. Se rispondiamo soltanto condannando, ridicolizzando, etichettando manchiamo il punto.
La crescente diffidenza tra generi e identità sessuali
Anche se rischioso, provo a mettere in gioco ciò che sento, invece di rapportarmi a questo fenomeno in modo soltanto concettuale e distaccato. Da uomo sento anche io la sempre maggiore diffidenza, distanza e talvolta rifiuto da parte delle donne. Sento di dover essere attento a ciò che dico, ai gesti che faccio, al modo in cui esprimo il mio desiderio, il mio sguardo, in cui inizio una conversazione. La tensione c’è ed è innegabile se si è sensibili al linguaggio non verbale, ancora più di quello verbale. Ne sento la responsabilità sia personale, che storica, e allo stesso tempo talvolta l’impossibilità di poter ricercare modalità alternative.
I profili di molte donne sulle dating app rivendicano il non essere interessate a “ONS”, sesso, divertimento o relazioni casuali. Sembra essere tornati a prima della rivoluzione sessuale degli anni ‘60, “esco con te solo se mi sposi”, ma chiaramente non è così, e quello che queste frasi in realtà vogliono comunicare è un rifiuto da parte delle donne di essere trattate e viste come oggetti sessuali. Questo rifiuto a volte arriva fino all’interrompere completamente qualsiasi rapporto di intimità con gli uomini, un fenomeno crescente che spiega il grande interesse anche in occidente per il fenomeno 4b nato in Sud Corea.
Non voglio ipotizzare che il fenomeno Incel sia una reazione al femminismo, voglio solo prendere spunto da questi fenomeni di radicalizzazione del rapporto tra generi e identità sessuali per sottolineare la crescente difficoltà a rapportarci alle crisi complesse a cui siamo sempre più esposti, e al rischio di reagire identificando il nostro senso di sicurezza con la disconnessione e il rifiuto dell’altro.
La diffidenza sempre maggiore nei confronti degli uomini è una conseguenza logica del patriarcato. Ma quando si entra nella sfera delle emozioni e del desiderio, e ancora di più nei bisogno di attaccamento e affettività, la logica rimbalza in un gioco di specchi.
Il patriarcato è un fenomeno sistemico, come tale complesso, come tale ci partecipiamo tuttə, perché agisce attraverso una serie di aspettative e norme non esplicite, a cui siamo statə affettivamente socializzatə fin dall’infanzia. Del patriarcato sono vittime le donne, la comunità LGTBQ, ma anche gli uomini, che spesso devono nascondere parti fondamentali di se stessi per poter appartenere a un gruppo di amici, colleghi o compagni di squadra. Espressioni normalizzate come “sii uomo”, “non fare la femminuccia”, “mostra le palle” sono solo le evidenze più facili da individuare, seppure ancora di uso comune nonostante la maggiore consapevolezza diffusasi negli ultimi anni.
Invece di supporre che improvvisamente chiunque sia natə e cresciutə in un sistema patriarcale possa dichiararsene liberatə e agire senza pregiudizi, condizionamenti e oppressioni, bisognerebbe incentivare un clima di riconoscimento, compassione e supporto per le innumerevoli e profonde ferite che questa cultura ha provocato in uomini, donne e in chi non si identifica in questo modo. Dovremmo fare esattamente il contrario che pretendere l’innocenza, dovremmo presumere l’errore come conseguenza necessaria del condizionamento.
La via d’uscita
A conclusione del loro articolo i due ricercatori canadesi scrivono:
La conoscenza della psicologia del celibato involontario può aiutare a identificare molteplici opportunità di prevenzione. Si potrebbero compiere sforzi significativi per fornire competenze relazionali sane e formazione sul loro utilizzo quotidiano a giovani e adulti socialmente isolati. Ad esempio, lo sviluppo delle competenze interpersonali necessarie per l'esplorazione delle relazioni sociali ha un grande potenziale per generare un senso di comunanza.
Andiamo incontro a una realtà che ci ferirà sempre di più. Derive autoritarie, collasso climatico, guerre, tecnologie fuori controllo, isolamento, polarizzazione, deterioramento della salute mentale. Sta già accadendo. Il modo in cui rispondiamo a queste crisi può essere ancora più devastante delle crisi stesse. O potremmo invece usare queste crisi per costruire un sistema diverso.
Parte del nostro destino passa per la capacità di leggere la realtà includendo quanta più complessità possibile. Resistendo alla tentazione del bianco e nero, del giudizio e condanna, del puntare il dito ed espellere. In favore di un dare senso che sappia ascoltare il non detto, i bisogni negati dal nostro sistema culturale, la relazionalità.
Come dice lo psicologo dell’adolescenza Matteo Lancini a Internazionale, “dobbiamo capire che la prevenzione di qualsiasi forma di violenza passa solo dalla relazione. Quella vera”.
Si deve probabilmente al suo successo se Elon Musk ha diffuso su X una teoria del complotto secondo cui lo show sarebbe parte di una "propaganda anti-bianchi" in quanto è stato scelto un attore bianco per interpretare Jamie.



