In RISONANZA
Rigenerare la capacità di connessione umana
Viviamo una crisi di disconnessione.
Emotiva, relazionale, e sociale.
Si manifesta come una sofferenza difficile da nominare, come l’assenza implicita di qualcosa che ci aspettiamo di trovare intorno e che invece manca.
Siamo intimamente programmati per la connessione umana, ma viviamo in un mondo che l’ha sostituita con artifici, smarrendo pratiche e attitudini senza le quali non è possibile farne reale esperienza.
In RISONANZA è un percorso per recuperare ciò che la modernità ha esiliato:
la capacità di connessione umana.
Usa la metafora del suono che si trasmette tra corpi, per indicare la capacità di essere mossi, di rispondere e di propagare energia.
E’ basato sulle neuroscienze relazionali e le pratiche del relazionarsi autentico.
Unisce profondità, accoglienza, trasformazione e gioco.
Conduce: Diego Galli, community organizer e facilitatore di relazionarsi autentico
«Con risonanza, intendo innanzitutto la nostra propensione a legarci agli altri esseri umani. Ciò significa che quanto ascolto e vedo, ciò che incontro è capace di toccarmi intimamente. La Risonanza è l’opposto e l’alternativa all’alienazione, è “il legame vibrante” e quindi vitale tra noi, ciò che conferisce suoni e colori al mondo e consente al Sé di guadagnare in sensibilità, emozioni e movimenti, in modo che la vita possa tornare a scorrere attraverso di noi.»
Hartmut Rosa
Gli strumenti
Relazionarsi autentico
Authentic Relating è una pratica relazionale per dar vita a spazi in cui sia possibile sperimentare nuovi modi di relazionarsi, invitando verità, vulnerabilità e presenza, e rendendo superflui performance, status e maschere sociali.
Si basa su esercizi strutturati — spesso chiamati “giochi” — che aiutano a sospendere le abitudini relazionali condizionate e ad entrare in una connessione più autentica con sé e con l’altro, dove il “vedersi” e l’“essere visti” diventano strumenti trasformativi.
È una pratica incarnata più che un metodo cognitivo, che genera un’esperienza emotiva e diventa naturale con l’esperienza.
Le sue radici sono nella Bay Area degli anni ’90, tra pratiche di gruppo, circling, psicologia transpersonale e comunicazione non-violenta, e si è poi diffusa globalmente attraverso comunità e scuole che ne trasmettono i principi.
Neurobiologia interpersonale
L’Interpersonal Neurobiology integra neuroscienze, psicologia dello sviluppo e studi sulle relazioni umane per comprendere come mente, cervello e relazioni interagiscano profondamente.
Parte dall’idea che il cervello sia un “organo sociale”, modellato fin dalle primissime esperienze relazionali (come l’attaccamento caregiver-bambino). Le relazioni sono considerate centrali nel plasmare struttura cerebrale, regolazione emotiva, resilienza e salute mentale.
Parallelamente, la mente è vista non come qualcosa di interno all’individuo, ma come un processo che coinvolge scambio di energia e informazione tra esseri umani.
L’IPNB nasce dall’incontro tra le ricerche sull’attaccamento di Allan Schore, il modello integrativo mente-cervello-relazioni di Dan Siegel, la visione del cervello come organo sociale proposta da Louis Cozolino e l’enfasi di Bonnie Badenoch sulla presenza terapeutica come via di integrazione e guarigione.
Sul consenso e la sicurezza
Anche se il percorso invita a esplorare nuovi modi di essere con gli altri, non è necessario esporsi più di quanto non venga naturale fare.
Ritrosie, paure e bisogni di disconnessione non solo sono rispettati, ma sono parti integranti del processo stesso. È sempre possibile appartarsi, prendere una pausa, restare nel ruolo di osservatori o abbandonare il workshop.
Cosa dice chi lo ha già sperimentato?
Ho apprezzato tanto la facilitazione eseguita con calma, con sincerità e autenticità impersonando davvero il senso delle relazioni autentiche con sé stessi e con gli altri.
Sara Marzo
Con i suoi modi durante le attività sono riuscito davvero a rilassarmi completamente e a scavare dentro di me... Diego mi ha permesso di empatizzare molto di più con la natura e molto di più anche con me stesso.
Michele Stelluti
L’onestà intellettuale di Diego, nessuna certezza portata al gruppo, nessuna esaltazione emozionale, tanta delicatezza. La capacità di condurre il gruppo con chiarezza di intenti senza mai imporre e senza mai agire con presunzione.
Alberto Troisi
La tua umiltà, il tuo metterti in gioco, il tuo mostrarti vulnerabile, la libertà che ci hai dato di partecipare o non partecipare alle attività. Il rispetto che hai dato al lavoro degli altri due facilitatori. La tua calma.
Claudia Recchiuti
La buona riuscita di un’attività, oltre che dal contenuto, dipende dal cuore e da quanto lo stesso facilitatore si mette in gioco. Per questo, al di là delle attività proposte, già di per sé molto stimolanti, ho apprezzato tanto il tuo modo di condurci: mi ha fatto sentire molto a mio agio il tuo “esporti emotivamente”. Ti abbiamo sentito uno di noi e ci siamo sentiti liberi di esprimerci.
Renata Campagnola
I momenti con Diego sono stati delle pause di riflessione potenti ed utili. Per me è stata una sfida mettermi in gioco da sola e con estranei ma mi sono sentita accolta ed al sicuro; ho trovato interessante il tema della vergogna, mi ha toccata profondamente, perché da bambina era il mio stato predominante e non me ne rendevo conto scambiandola per timidezza.
Aurora Rossi
Quello che mi è piaciuto tantissimo è stata la versatilità, poca rigidità, padronanza di ciò che portavi.
Antonio Carraro
Chi sono




La mia adolescenza è stata accompagnata da un senso di vergogna e inadeguatezza paralizzanti. Da bambino mi legavo a chiunque si sentisse escluso e incapace di giocare a calcio per non restare da solo a ricreazione. A casa mi rifugiavo in un mondo fatto di piante, animali e giochi di immaginazione solitaria. Al liceo una semplice uscita con i compagni di classe era un’esperienza terrorizzante, per non parlare dei rapporti con le ragazze o della sessualità.
Eppure da sempre una potente spinta interiore mi ha guidato a trovare modalità di socializzazione in cui potessi sentirmi connesso agli altri nonostante le diversità che avvertivo.
Con il tempo mi sono accorto che il disagio che sembravo provare solo io era invece un’esperienza universale, che la maggior parte delle persone impara semplicemente a mascherare o sopprimere.
La mia esperienza di lavoro come community organizer che mi ha portato a condurre centinaia di gruppi in processi di attivazione delle comunità locali, la formazione professionale di Gabor Maté “Compassionate Inquiry” sulla cura del trauma, quelle sul relazionarsi autentico con ART, Authentic revolution e SeekHealing, mi hanno dato gli strumenti e competenze necessari per comprendere le dinamiche relazionali e condurre le persone in percorsi trasformativi.
L’intuizione di fondo che guida la mia ricerca attuale è che per curare le ferite più profonde del nostro pianeta dobbiamo rigenerare la capacità di connessione umana. A questo scopo ho avvito il progetto Rigenerazionale.
Per partecipare
Una domenica al mese - 16-19 - zona stazione Trastevere - 10-25€ a seconda delle possibilità
Le aspettative di base della condizione umana e le origini della disconnessione
Una delle cose più difficili per me in questo momento è comunicare qualcosa che è abbastanza palese da sembrare scontata, e tanto assente da essere invisibile.



