L'importanza di dare senso alla realtà anche quando ci ferisce
Il fenomeno incel, la serie Netflix e perché la risposta alla violenza del patriarcato non può essere nella disconnessione
Il fenomeno incel (da “celibato involontario”), la teoria del complotto secondo la quale le donne rifiuterebbero sesso e affetto alla maggior parte degli uomini, selezionandone soltanto il 20% considerati ricchi e di successo, ci parla del modo in cui in un mondo attraversato da disconnessione emotiva, giudizio, competizione e senso di esclusione, il dare senso alla realtà rischi di diventare un processo di rivincita che crea ancora maggiore disconnessione e violenza.
Scrive Facta che
Come racconta Adolescence, quelle incel sono comunità esposte a un serio rischio di radicalizzazione e negli anni hanno provocato decine di vittime tra Stati Uniti e Canada, tutte accompagnate da manifesti che parlavano apertamente della teoria.
Il più famoso tra questi è Elliott Rodger, che nel 2014 uccise 6 persone in un'associazione studentesca femminile, pubblicando poi un documento di 141 pagine nel quale dichiarava di aver scelto la vendetta nei confronti di una società che gli aveva «negato il sesso e l'amore».
Anche se rischioso, provo a mettere in gioco ciò che sento, invece di rapportarmi a questo fenomeno in modo concettuale e distaccato. Da uomo sento anche io la sempre maggiore diffidenza, distanza e rifiuto da parte delle donne. Sento di dover essere attento a ciò che dico, ai gesti che faccio, al modo in cui esprimo il mio desiderio, il mio sguardo, in cui inizio una conversazione. La tensione c’è ed è innegabile se si è sensibili al linguaggio non verbale, ancora più di quello verbale.
I profili di molte donne sulle dating app rivendicano il non essere interessate a “ONS”, sesso, divertimento o relazioni casuali. Sembra essere tornati a prima della rivoluzione sessuale degli anni ‘60, “esco con te solo se mi sposi”, ma chiaramente non è così, e quello che queste frasi in realtà vogliono comunicare è un rifiuto da parte delle donne di essere trattate e viste come oggetti sessuali. Questo rifiuto a volte arriva fino all’interrompere completamente qualsiasi rapporto di intimità con gli uomini, un fenomeno crescente che spiega il grande interesse anche in occidente per il fenomeno 4b nato in Sud Corea.
Non voglio ipotizzare che il fenomeno incel sia una reazione al femminismo, voglio solo prendere spunto da questi fenomeni di radicalizzazione del rapporto tra generi e identità sessuali per sottolineare la crescente difficoltà di rapportarci alle dinamiche complesse a cui siamo sempre più esposti e a cui rischiamo di reagire identificando il nostro senso di sicurezza con la disconnessione e il rifiuto dell’altro.
La diffidenza sempre maggiore nei confronti degli uomini è una conseguenza logica del patriarcato. Ma quando si entra nella sfera delle emozioni e del desiderio, e ancora di più nei bisogno di attaccamento e affettività, la logica rimbalza in un gioco di specchi. La rabbia delle donne, e di chiunque si identifichi con un genere o identità sessuale diverse da quelle maschili, è più che giustificata. Ma i conflitti in bianco e nero hanno sempre come prima vittima la complessità.
Il patriarcato è un fenomeno sistemico, come tale complesso, come tale ci partecipiamo tuttə, perché agisce attraverso una serie di aspettative e norme non esplicite, a cui siamo statə affettivamente socializzatə fin dall’infanzia. Lo riproducono gli uomini che si dichiarano femministi, e anche le donne che accusano gli uomini in quanto tali. La scienza dell’attaccamento spiega molto delle difficoltà crescenti di creare connessione emotiva nei rapporti interpersonali e intimi. E’ paradossale che la risposta alle conseguenze di quella che è stata definita la silenziosa epidemia dei disordini dell’attaccamento consista in un ancora maggiore privazione di relazioni sicure e accoglienti.
Del patriarcato sono vittime le donne, la comunità LGTBQ, ma anche gli uomini, che spesso devono nascondere parti fondamentali di se stessi per poter appartenere a un gruppo di amici, colleghi o compagni di squadra. Espressioni normalizzate come “sii uomo”, “non fare la femminuccia”, “mostra le palle” sono solo le evidenze più facili da individuare, seppure ancora di uso comune nonostante la maggiore consapevolezza diffusasi negli ultimi anni.
Invece di supporre che improvvisamente chiunque sia natə e cresciutə in un sistema patriarcale possa dichiararsene liberatə e poter agire senza pregiudizi, condizionamenti e oppressioni, bisognerebbe incentivare un clima di riconoscimento, compassione e supporto per le innumerevoli e profonde ferite che questa cultura ha provocato in uomini, donne e in chi non si identifica in questo modo. Dovremmo fare esattamente il contrario che pretendere l’innocenza, dovremmo presumere l’errore come conseguenza necessaria del condizionamento.
Le teorie del complotto sacrificano la complessità, più ancora che la verità. C’è sempre, infatti, un nucleo di verità su cui si basano, e questa verità è l’esperienza soggettiva, emotiva, di chi le fa proprie. Se rispondiamo soltanto condannando, ridicolizzando, etichettando manchiamo il punto. Le teorie del complotto sono il modo con cui chi è feritə utilizza il dare senso alla realtà per vendicarsi.
Un adolescente maschio che sta formando la sua identità, nato nella cultura del patriarcato, senza modelli maschili diversi, che si sente rifiutato in uno dei bisogni più fondamentali, quello dell’affettività, del sentirsi meritevole di amore, ha bisogno di una cultura che sappia riconoscere i suoi bisogni, che sappia fornire modelli relazionali alternativi. In assenza di questo, la risposta di una lettura della realtà che riconosce la sua sofferenza e gli offre un’opportunità di riscatto - per quanto assurda, per quanto violenta, per quanto ingiusta sia - avrà sempre un appeal irresistibile.
Andiamo incontro a una realtà che ci ferirà sempre di più. Derive autoritarie, collasso climatico, guerre, tecnologie fuori controllo, isolamento, polarizzazione, deterioramento della salute mentale. Sta già accadendo. Il modo in cui rispondiamo a queste crisi può essere ancora più devastante delle crisi stesse. O potrebbe insegnarci ad usare le crisi per costruire un sistema diverso. Parte del nostro destino passa per la capacità di leggere la realtà includendo quanta più complessità possibile. Resistendo alla tentazione del bianco e nero, del giudizio e condanna, del puntare il dito ed espellere. In favore di un dare senso che sappia ascoltare il non detto, i bisogni negati dal nostro sistema culturale, la relazionalità, e la disponibilità a vedersi anche nelle parti che sentiamo rifiutate e inaccettabili.
La formazione “Attraverso il collasso. Guarigione, relazionalità, impatto sistemico” è un tentativo di coltivare le capacità necessarie a rapportarci alla complessità con maturità, responsabilità e compassione. Abbiamo urgete bisogno di saper rispondere alle crisi sistemiche del nostro tempo senza approfondirle con le nostre reazioni. Abbiamo bisogno di cura, relazionalità e cambiamento sistemico.
Trovo questo articolo molto vero e spero che tante persone trovino il coraggio di indagare la vera radice dei problemi, per quanto doloroso e difficile questo processo possa essere