Dal cambiamento performativo al cambiamento trasformativo
Dal webinar "Oltre il progettificio" tutte le criticità dell'attuale modello di finanziamento del terzo settore e gli esempi del nuovo paradigma di "filantropia basata sulla fiducia"
A sintetizzare nel modo più efficace quello che stiamo perdendo a causa della trasformazione del terzo settore in una macchina per aggiudicarsi bandi, è stata una delle partecipanti al webinar con Tiziani Blasi dedicato al “progettificio”, parlando di “cambiamento performativo” in opposizione a un “cambiamento trasformativo”.
I bandi, con i loro tempi e indicatori di risultato irrealistici, costringono gli enti del terzo settore a dover dimostrare impatti che non è possibile avere. La realtà viene così piegata ai requisiti del bando, invece che il contrario. Tutto questo costringe a rincorrere indicatori di performance, basati sulla prevedibilità, la standardizzazione, la quantità, invece che immaginare e sperimentare processi trasformativi con i loro tempi lunghi, rischi e adattabilità.
“Lavorare per progetti - ha scritto Carola Carazzone - significa assumere che nulla di quanto stabilito nel quadro logico e nella gestione del ciclo del progetto cambi. Ogni cambiamento all’interno di esso, anche se non oneroso, comporta che l’ente del terzo settore ottenga una approvazione ad hoc da parte del finanziatore”.
Ed è così che, come ha efficacemente sintetizzato la partecipante al webinar, si rinchiude l’azione del terzo settore in un modello performativo.
Progetti che non hanno progettualità
Il problema non sta nel progetto in sé, perché in realtà “progettare significa gettare lo sguardo sul futuro”, ha detto Tiziano Blasi nel corso del webinar. “Ma il massimo che guardiamo avanti è 24 mesi nel progettificio”.
Molti progetti finiscono per essere estesi oltre la data di fine progetto. I donatori accordano anche l’estensione, ma a patto che sia senza costi aggiuntivi per loro. Così la filantropia continua a chiedere risultati irrealistici e il terzo settore ha la sola scelta tra fallire l’obiettivo o lavorarci di più gratis.
Lavorare in questo modo, ha fatto notare Tiziano Blasi, “impedisce i tempi e la flessibilità per affrontare la complessità”, con la conseguenza che “rispetto alla complessità dei problemi che abbiamo davanti i progetti sono strumenti inadeguati.”
Il ciclo della fame
L’abuso dello strumento del bando ha creato quello che già nel 2009 la Standford Social Innovation Review definiva lo “starvation cycle del nonprofit”.
I donatori hanno aspettative irrealistiche sui costi necessari per far funzionare un’organizzazione nonprofit, e pretendono che i bandi finanzino soltanto le attività di progetto, e non i costi strutturali necessari all’organizzazione.
Le organizzazioni si sentono pressate ad adeguarsi, sia da parte dei competitori, le altre organizzazioni del terzo settore che cercano di aggiudicarsi gli stessi bandi riducendo i costi, sia per la pressione dai donatori.
I costi che non vengono coperti sono tanti, e gli enti del terzo settore devono nasconderli al donatore dietro altre spese, per sperare di riuscire a coprirli: interessi alle banche per anticipi richiesti dai bandi, amministrazione, lavoro di rete, raccolta fondi, formazione, ruoli di direzione e project management. Per non parlare di imprevisti e rischi.
In questo modo i donatori non hanno modo di rendersi conto di quanto i loro bandi sottostimino i costi necessari a far funzionare le organizzazioni che finanziano, così da proseguire il ciclo.
E questo ciclo non ha fine, perché per svolgere i progetti le organizzazioni nonprofit devono comunque mettere in piedi un’organizzazione strutturata. La conseguenza è che per poter essere sostenibili diventano dipendenti dall’aggiudicarsi altri progetti, uno dietro l’altro.
“Come possiamo pretendere che gli enti del terzo settore raggiungano i propri obiettivi strategici e la propria missione quando la maggior parte di essi tribola per la propria sopravvivenza come organizzazione senza riuscire a garantire salari decenti, tecnologie e struttura adeguata?”, chiede Carola Carazzone su Vita.
Questo “modello di business” è molto rischioso per le associazioni, soprattutto quando non è diversificato. E come fanno organizzazioni sotto pericolo di sopravvivenza ad agire in modo strategico dentro problematiche complesse dove è in gioco la sopravvivenza di persone, istituzioni, culture ed ecosistemi che dovrebbero proteggere?
Come scrive Daniele Messina della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, “se sei stato abituato a pensare alla sopravvivenza difficilmente avrai il pensiero prospettico e la visione strategica”.
L’alternativa? Dal controllo alla fiducia
L’alternativa di base a questo modello è quello di finanziare la missione delle organizzazioni, invece che i progetti. E di farlo tenendo conto delle spese di struttura necessarie per farla funzionare.
E’ un modello basato sulla fiducia invece che sul controllo.
Tiziano Blasi nel corso del webinar ha fornito anche una serie di esempi virtuosi che stanno tentando di cambiare il paradigma di funzionamento della filantropia.
A partire da Trust-Based Philanthropy Project, che ha enucleato sei pratiche per rendere possibile “capovolgere il copione” e promuovere un rapporto tra donatori e enti del terzo settore basato sulla fiducia:
Sovvenzioni pluriennali e senza vincoli: il lavoro delle organizzazioni non profit è a lungo termine e imprevedibile. I finanziamenti pluriennali e senza vincoli offrono ai beneficiari la flessibilità necessaria per valutare e determinare dove i fondi siano maggiormente necessari, favorendo l'innovazione, l'azione emergente e la sostenibilità
I finanziatori “fanno i compiti a casa”, impegnandosi a raccogliere informazioni pubblicamente disponibili nella fase di pre-proposta, invece che costringere le organizzazioni a riempiere moduli su moduli solo per farsi conoscere
Opzioni di rendicontazione semplificate e snelle: le organizzazioni non profit dedicano una quantità eccessiva di tempo alle domande e ai report richiesti dai finanziatori, il che può distrarle dal loro lavoro fondamentale.
Maggiore trasparenza e responsabilità
Richiedere feedback e agire di conseguenza: i beneficiari e le comunità forniscono preziose prospettive che possono orientare la strategia e l'approccio di un finanziatore, rendendo intrinsecamente il nostro lavoro più efficace nel lungo termine.
Offrire supporto oltre il semplice assegno: i finanziatori hanno molto più da offrire dei semplici dollari. Un supporto reattivo, adattabile e non monetario rafforza la leadership, la capacità e la salute organizzativa.
Questo approccio non ha l’obiettivo soltanto di migliorare la vita alle organizzazioni del terzo settore, ancora di più è l’impatto sistemico che può avere per le comunità servite. “La stella polare della filantropia basata sulla fiducia è un mondo in cui filantropi e organizzazioni non profit collaborano con un senso condiviso di responsabilità nei confronti delle comunità che servono e sostengono” si legge sul sito. “Per questo motivo, un impegno olistico verso la filantropia basata sulla fiducia invita i professionisti ad applicare i valori basati sulla fiducia in quattro dimensioni chiave del loro lavoro: cultura, strutture, leadership e pratiche”.
Con l’obiettivo di romperere “il ciclo della fame del nonprofit” è stato creato il progetto Funding for Real Change che promuovere la copertura dei costi indiretti e finanziamenti pluriennali flessibili.
Mackenzie Scott, la filantropa ed ex moglie del fondatore di Amazon Jeff Bezos, ha donato 19 miliardi di dollari senza vincoli a oltre 2.000 organizzazioni non profit, il che significa che i destinatari delle donazioni hanno potuto spendere i fondi come meglio credevano. L'importo medio delle donazioni è stato di circa 5 milioni di dollari. Un rapporto del Center for Effective Philanthropy afferma che questi finanziamenti hanno non solo aiutato queste organizzazioni non profit a raggiungere una maggiore stabilità finanziaria, ma anche consentito di aumentare la portata del loro impatto.
Venendo all’Italia, cominciano a vedersi degli esperimenti significativi anche da noi. Secondo Welfare ha dedicato un canale tematico dedicato e un rapporto al tema: “la filantropia basata sulla fiducia è ormai oggetto di attenzione anche in Italia, dove promette di avere una portata trasformativa capace di mettere in discussione il sistema vigente a molti livelli".
Si parte dal progetto di capacity building per le organizzazioni del terzo settore “Cariplo Social Innovation Lab”, la maggiore fondazioni del paese, che offre formazione gratuita e anche mentorship.
Generas Foundation Onlus è tra le prime fondazioni in Italia ad adottare un approccio trust-based alla filantropia. Come si legge sulla loro piattaforma Edunauta, “crediamo nella costruzione di relazioni di fiducia, nella riduzione della burocrazia e nella progettazione partecipata. Attraverso la compilazione dell’Assessment – che potrà essere aggiornato periodicamente – la tua organizzazione entrerà in un percorso di dialogo e crescita con la Fondazione, aprendo la strada a nuove opportunità di supporto, networking e accesso ai grant”.
Anche la Fondazione CRC ha lanciato il suo Bando fiducia, “iniziativa sperimentale volta a sostenere lo sviluppo e la programmazione strategica degli enti del Terzo Settore attraverso un approccio innovativo basato sulla trust-based philantropy”.
Ma l’iniziativa più rilevante è quella messa in piedi dalla seconda fondazione italiana in termini di patrimonio, la Fondazione Compagnia di San Paolo, il cui piano strategico prevede un investimento di 700 milioni su progetti di cambiamento sistemico, basato sui principi di fiducia, rischio e flessibilità, e con “un approccio metodologico ispirato alla filantropia moderna”.
Non è un caso che gli obiettivi scelti per questo approccio siano “4 megatrend” di natura sistemica:
La crisi demografica, la denatalità e l’invecchiamento della popolazione
L’accelerazione della transizione tecnologica
La crisi climatica, degrado ambientale ed eventi estremi
Le povertà e l’acuirsi delle diseguaglianze sociali
Cosa può fare il terzo settore?
Secondo Tiziano Blasi sono diverse le cose che il terzo settore può fare per innovare le modalità di finanziamento e spingere gli enti filantropici a fare altrettanto:
Mettere da parte riserve e costruire patrimonio.
Costruire dialogo su questo tema e coinvolgere diversi attori.
Sviluppare una capacità autonoma di autovalutazione e racconto, in modo da contrastare le metriche standard e metterne in risalto altre.
Creare reti dove mettere insieme risorse.
Fare pressione politica.
Tiziano Blasi ha coordinato progetti di cooperazione internazionale in partnership con Unione Europea e Nazioni Unite nei Balcani e in Medio Oriente. Ha lavorato con Save the Children, ActionAid e WINGS, network globale di fondazioni filantropiche. Oggi, come Direttore Programmi della Fondazione Soleterre, guida un programma internazionale incentrato sulla salute mentale e l’inclusione sociale e lavorativa.